Ansia e Panico: 3 errori comuni

Panico da sintomo

Ormai sono parecchie le persone che aiuto, liberamente e gratuitamente, tutti membri di gruppi di auto-aiuto e mutuo aiuto, e sono diventati migliaia i post che ho attentamente letto, pubblicati in questi gruppi: tutti hanno una storia diversa, sono unici, moltissimi, per non dire quasi tutti, hanno un elemento in comune, che a me sembra che nessuno consideri con sufficiente attenzione, e con sufficienti conoscenze per comprenderne il senso.

Lo vediamo tutti, quasi tutti i post partono o si concentrano sui “sintomi”, variamente descritti: vengono descritti i “sintomi” che poi vengono collegati agli “attacchi” di ansia, di panico, innumerevoli sono i racconti di rapidi ricoveri in ps, di infiniti accertamenti clinici, con lo stesso, drammatico esito.

Non c’è niente, non hai niente, nessun danno organico, nessuna patologia di nessun tipo, a parte, in alcuni casi, un po’ di cervicale… magari è stato uno sbalzo pressorio occasionale, una aritmia fisiologica, sì, le farfalle, come quelle che si provano quando si scopre di essere innamorati.

E la cervicale, nome affettuoso per indicare l’artrite cervicale, sì, beh, spesso si accompagna a vertigini, più o meno intense, che durano poco, da qualche istante a qualche secondo, e a volte, di rado, ma succede, rendono l’equilibrio difficile da mantenere, meglio appoggiarsi a qualcosa di solido e grosso, o sedersi, finchè non passa… perchè passa, rapidamente.

Chi soffre di artrite cervicale, come me, può valutare e giudicare le temporanee vertigini, lievi e rapide, a volte quasi inavvertite, a volte più sensibili, come “sintomo” della condizione di essere afflitto dalla artrite cervicale, è una diagnosi in genere corretta: se poi, come a me è accaduto, la prima volta che mi è girata improvvisamente la testa in modo pesante, ha trovato un medico, in guardia medica, che ha immediatamente rilevato la condizione di artrite cervicale, e confermato che è condizione che colpisce tantissima gente, e che non è considerata una patologia invalidante, quasi neanche una patologia, tanto è comune, beh, è stato fortunato.

Mi prendono le vertigini? Nulla di cui preoccuparsi, è già passato, o passa subito, è la buona vecchia cervicale che si fa sentire, nulla di cui preoccuparsi. E finisce lì. Per tutta la vita. A me succede da 40 anni, vanno, vengono, passano, mai più andato in guardia medica,

Ho avuto fortuna? Penso di sì, mi sarebbe andata molto peggio, quaranta anni fa, se mi fossi sentito dire: non c’è assolutamente niente… come sarebbe a dire non c’è assolutamente niente? Se non c’è niente, allora perché ho le vertigini e fatico a stare in piedi? Ah, quello, non è niente, è nella sua testa, ansia, forse panico.

E avrei seguito la strada di centinaia di migliaia di italiani, sostanzialmente visti dalla gente comune come malati immaginari, o come afflitti da patologie che psichiatri e psicologi indicano con una serie importante di nomi eleganti.

ANSIA – primo errore

Il sintomo, giustamente, per la nostra cultura, rimanda sempre ad una patologia, per definizione, non si scappa: e quindi, se mi viene, mi accorgo, vedo un sintomo, vado a cercare la malattia… e la trovo, non è difficile, anzi, è sempre più facile, internet e google rendono il compito facilissimo.

Mi viene la tachicardia, cioè sento che i battiti del mio cuore sono accelerati, insomma non batte con il solito ritmo a cui sono abituato… eccoci, hai visto? Ecco il sintomo! Maledetto! E non posso farci niente

Sento oppressione al petto, come se mi mancasse l’aria, proprio sento che fatico a respirare… ah, di nuovo, eccoci! Il dannato sintomo! E non posso farci niente…

E gli specialisti mi dicono che non ho niente, che tutto funziona come si deve, che ci ho l’ansia, che è un attacco di panico…

Eh sì, mica finisce lì, con la tachicardia ed il fiato corto, emmagari, no no, poi arriva il resto, vertigini, nausea, senso di mancamento, gambe che non mi reggono, gola serrata, occhi pesanti che si chiudono, e ancora tanti altri sintomi che mi hanno detto, gli specialisti e tanta gente che ci è passata, chiaro e tondo: ah, è un attacco di panico.

E quando si ha un attacco di panico, non si può fare più niente, finchè si è sotto attacco di panico, si blocca tutto, anche la testa, è terrore allo stato puro, impossibile pensare lucidamente.

Il che dimostra, se mai ce n’era bisogno, che è una patologia: in condizioni normali tutti riusciamo a pensare in modo lucido, quando ci accorgiamo che non stiamo pensando in modo lucido, beh, allora, non siamo in condizioni normali, no? è evidente! Quindi è patologia, non-normalità.

Più o meno questa è la strada, questo è l’inferno.

Ma c’è un primo errore, che commettiamo senza saperlo, tutti, o quasi tutti.

Trasformiamo in “sintomo” un segno, in “sintomi” alcuni segni, segni che non necessariamente si collegano ad una ipotesi diagnostica che conduce ad una patologia.

Anche questa mattina, bellissimo, un post apre così: mi sono svegliata sentendo ansia, e poi subito è arrivato il panico, respiro difficile, gambe molli, nausea.

La persona non dice che cosa sentiva esattamente al risveglio, quali fossero i segni che ha osservato, sentito, e che ha riportato come “ansia”, possiamo ipotizzare che siano i soliti che tutti conosciamo, tensione corporea, preoccupazione, magari battito accelerato, prendiamo per buona la “diagnosi” di questa persona, dài, era proprio ansia.

Ansia al risveglio? Credo che sia una esperienza comunissima, sì, ansia al risveglio.

L’errore comincia lì, e poi si propaga, è un errore piccolo, comune, lo fanno tutti, o quasi: i segni dell’ansia ci dicono solamente che c’è un problema, c’è qualcosa che ci minaccia, non ci dicono che cosa, questo sta a noi trovare e risolvere, ci dicono che da qualche parte, là fuori, o nella nostra meravigliosa mente, c’è qualcosa da mettere a posto.

L’errore è nel giudicare l’ansia qualcosa di non-normale, di valutarla come una minaccia al nostro benessere: è vero che quando proviamo quella specifica emozione che chiamiamo ansia, una delle varianti della emozione primaria che è chiamata paura, stiamo male, sentiamo dolore, o almeno sentiamo che è spiacevole (spiacevole è un grado del dolore).

Ed è proprio il dolore, il dispiacere a segnalare che c’è un problema, una minaccia: il resto, tra gli altri segnali, tachicardia, respirazione modificata, ma anche attenzione acuita, percezioni distinte di aspetti del nostro ambiente che in condizioni “normali” passerebbero inosservate, sono l’effetto di una preparazione alla azione, che è il compito che l’ansia svolge per noi.

È il compito che ciascuna emozione, piacevole o spiacevole, svolge per ciascuno di noi, aiutandoci ad affrontare con successo il compito quotidiano di sopravvivere.

L’errore è, banale finché vogliamo, ma decisivo per risolvere qualunque equazione della vita: vedere, interpretare, vivere, sentire l’ansia come la minaccia, il pericolo, la “patologia” da sconfiggere, da cui “guarire”.

L’ansia NON è una patologia, non è una malattia, è una emozione, una delle tante protezioni, dei tanti alleati buoni che ci aiutano, come possono, come sanno fare, frutto di milioni di anni di evoluzione della nostra specie.

Tante cose dovrebbero insegnarcele fino dai primi anni di vita, soprattutto queste… ma nessuno lo fa, purtroppo.

Se lo sapessimo fin da bambini, e se ci esercitassimo sin da bambini nell’averci a che fare, a “risolvere” queste “equazioni” della vita, da grandi non ci troveremmo in questi orrendi pasticci… invece ci tocca, tocca ai più fortunati, studiarle e impararle da grandi, quando molti danni sono già stati fatti… beh, meglio tardi che mai.

Dunque l’ansia ci prepara, fisicamente, ad affrontare il compito di individuare e risolvere un problema, una minaccia alla nostra vita: il fatto è che questo alleato è capace di prepararci ad affrontare i problemi e le minacce di milioni di anni fa, quelle di oggi sono molto diversi e molto più complicati.

Milioni di anni fa era sufficiente identificare la minaccia e poi scappare lontano ( o almeno provarci), oppure cercare di distruggerla, molti lo avranno già sentito dire, fuga o attacco, schema attacco-fuga, fly-or-fight: e l’ansia, e la paura, preparavano a questo: cambio della respirazione, per aumentare l’ossigenazione in vista di uno sforzo extra,  battito accelerato per alimentare la muscolatura, sensi acuiti, tempi di reazione ridotti, per identificare da cosa scappare o che cosa attaccare nel mondo là fuori, predatori, nemici, insomma le minacce di quel tempo

Oggi, per sottrarsi alla minaccia quasi sempre ci tocca trovare modi complicati, non basta scappare lontano, anzi, è quasi sempre controproducente, per distruggere la minaccia non basta pensare e tentare di distruggerla prendendola a calci pugni e bastonate, è reato, è molto più complicato di così: per questo, nei milioni di anni di evoluzione, abbiamo sviluppato questa straordinaria proprietà sistemica che chiamiamo pensiero, pensare.

Ma le eredità, in generale, si sommano una all’altra, quelle che si sono dimostrate buone per tanti milioni di anni vengono tenute per lungo tempo, anche quando non servono più tanto, o servono di rado da sole… ma servono, perbacco, e molto anche, ma non da sole.

PANICO – secondo errore

Dunque l’ansia è una eredità, a volte scomoda, spesso molti utile ancora oggi, a me ha salvato la vita in almeno tre occasioni, senza quella eredità non sarei qui oggi a scrivere: ed ecco il secondo errore, simile al primo, forse possiamo considerarlo parte del primo, poiché, sostanzialmente è dovuto alla stessa ragione, e cioè alla mancanza di conoscenza di come siamo fatti e di come funzioniamo.

Quando i segnali dell’ansia vengono presi come sintomi, e l’ansia diventa una patologia da cui non possiamo liberarci del tutto, nemmeno con i farmaci, accade che il panico ci attacchi, producendo tutto quello che il panico deve produrre, e tutti i segnali che lo identificano… non è che il panico mandi segnali, il panico è il panico, e siamo noi a identificare quello che fa in termini di segnali… o di sintomi.

Il secondo errore consiste nel “leggere” il panico come un nemico terribile, da abbattere, eliminare con ogni mezzo, ed i farmaci, sul panico, hanno in genere buon effetto, a parte gli effetti collaterali di cui quasi tutti si lamentano: è un errore, poiché la natura del panico, per la nostra specie, è tutt’altra.

Altrove ne ho scritto, un breve articolo dal titolo Elogio del Panico, di cui certo consiglio la lettura meditata… ne consiglierei volentieri altri, non miei, il fatto è che non ne ho incontrati, sino ad oggi, e sarò contento di ricevere indicazioni: il panico non è il nemico, non è l’emergere di una grave non-normalità, di una grave patologia, il panico è una antica misura di sicurezza, che “scatta” quando siamo in una situazione di grave pericolo, gravissimo.

È una misura di sicurezza “scritta” milioni di anni fa, ed è stata così efficace ed efficiente da essere tramandata, attraverso il nostro DNA, a tutti i soggetti della nostra specie: a quel tempo, come per l’ansia, andava alla grande: oggi, nel nostro oggi, in un ambiente stravolto dalla azione dell’uomo degli ultimi diecimila anni, riusciamo a vederne solo gli aspetti “negativi”.

Non ci succede più di essere attaccati da un predatore da cui non possiamo difenderci con l’attacco o con la fuga, non ci succede più di mangiare cose sconosciute che sono potenzialmente letali… ma l’emergere dell’ansia, intensa, che erroneamente classifichiamo come patologia, ma che identifichiamo come grave patologia, è del tutto equivalente, per la nostra eredità biologica, ad un attacco di un predatore soverchiante o di una tossina sconosciuta: ed il panico, estrema difesa e risorsa, interviene, come sa, come può.

Per la nostra vita “civile” (e su questo avrei tantissimo da dire, ma proprio tanto, un libro non basterebbe, e neanche due) il panico ci disabilita, e questo, nella nostra ignorante consapevolezza, è sufficiente a identificarlo come un nemico, come una non-normalità, come una grave patologia.

Non sappiamo, nessuno ce lo ha insegnato, ed è enormemente difficile scoprirlo da soli, che se sentiamo ansia, c’è qualcosa che ci minaccia, se arriva il panico vuol dire che un pericolo ancora più terribile ci sta sovrastando: lo sapevamo, senza saperlo, milioni di anni fa, lo sapevano, senza poter essere consapevoli di saperlo e senza parole per dirlo, i nostri progenitori, milioni, decine di milioni di anni fa.

Per loro era “normale”, anzi, meno male che quelle protezioni scattavano, potevano salvarsi la pelle, invece di morire: per noi no, sono diventati i nemici principali di una buona vita, quella che abbiamo imparato dagli altri essere una buona vita, fin dai primi giorni di vita.

E che non lo è affatto. Ma non divaghiamo.

Il panico, antica ed efficacissima misura di protezione, scatta, poiché siamo in presenza dell’ansia, che  leggiamo e viviamo come un nemico terribile: ma anche il panico, rapidamente, diventa, viene letto, intepretato, classificato, istantaneamente, come un secondo nemico, ancora più terribile.

ANSIA DA PANICO – terzo errore

Ed ecco il terzo “errore”.

E allora? Allora succede che occorre proteggersi anche dal panico, farmaci, terapie, tutto il carrozzone… e soprattutto, evitare di trovarsi là, dove abbiamo incontrato il panico la prima volta, elegantemente chiamati “comportamenti di evitamento”: e così c’è chi non riesce più a stare al chiuso (il nome tecnico credo sia claustrofobia), o all’aperto (agorafobia)… l’elenco è lungo, e ciascuno conosce la sua “fobia” specifica, di cui, naturalmente, ignora quasi sempre il senso e l’origine… la chiacchiera popolare, ignorante per definizione, e non certo per colpa del “popolo”, ci attacca le sue considerazioni, e la confusione diventa insormontabile.

Se la vediamo per quello che è, risulta del tutto ovvio, sensato, e “normale”, cercare di stare alla larga dai guai, lo faremmo tutti, lo facciamo tutti.

La conclusione a cui quasi tutti arrivano, è altrettanto ovvia: abbiamo l’ansia, l’ansia scatena il panico, il panico scatena la paura che si ripeta, quindi servono rimedi per eliminare ansia, panico e “comportamenti di evitamento”, che poi significa fobia.

Nel quotidiano vivere significa quello che 50.000 persone testimoniano ogni giorno nei loro post su facebook, cioè uno stare costantemente all’erta, che vuol dire “in ansia”, scrutando ogni segno che possa rimandare al sintomo di ansia e panico, e scatenando la sequenza ansia-panico da ansia-ansia da panico ogni maledetto giorno.

In quella condizione di allerta permanente, che è ansia, principalmente mirata a “tenere d’occhio” il panico, molti altri segnali del nostro corpo vengono intercettati, e spesso finiscono per essere trasformati in sintomi, molto diffusi sono il dolore alla schiena, le extrasistole, naturalmente le vertigini, il mal di testa, pulsazioni avvertite in varie parti del corpo: le conseguenze sono note, corse urgenti in ps, dal cardiologo, dal pneumologo, dall’ortopedico, tac e risonanze magnetiche a go go, repertorio noto.

E tutti si dicono: non si può campare così, tutti si chiedono: “ma come si può campare in questo modo”, non pochi pensano al suicidio, troppi rimangono in quella trappola per anni, decenni, o per la vita intera.

E hanno ragione, per loro è una equazione che non ha soluzione, e noi non siamo costruiti per vivere una vita che non ci permetta di risolvere le equazioni, i problemi di ogni giorno.

Come si esce dall’inferno

Come si esce da quell’inferno? Beh, dovrebbe essere chiaro, a questo punto: si esce sapendo meglio che cosa sono ansia, paura e panico, si esce occupandosi della sorgente, della fonte delle difficoltà, di che cosa ha messo in moto prima l’ansia, poi il panico, poi la paura del panico.

Facile, no? Per niente. Se fosse facile basterebbe aver letto e compreso queste righe, per rimettere le cose a posto.

Ma il fatto è che la sorgente originale dell’ansia, che poi, letta come il nemico, ha fatto scattare il panico, e che poi ha fatto scattare la fuga è proprio difficile da identificare.

La buona notizia è che ciascuno di noi può scovarla e costruire e adottare soluzioni efficaci e permanenti.

La cattiva notizia è che da soli, senza l’aiuto di qualcuno capace, sapiente, competente, ce la fa uno su un milione: e gli altri?

Ecco il vero nocciolo della questione: come si fa, in sicurezza, a cercare, trovare e scegliere chi davvero può aiutarci a uscire dall’inferno?

Per saperlo con sicurezza, dovremmo già sapere quello che non sappiamo, cosa impossibile, siamo costretti a provare, e sperare di non essere stati ingannati, in buona fede o in cattiva fede; ma ora sappiamo alcune cose che prima non sapevamo, e che aiutano tantissimo.

Sappiamo che il problema non sono i sintomi, ciò che noi leggiamo come sintomi, e che ora sappiamo essere solo il modo con cui riconosciamo la nostra ansia, il nostro panico, la nostra paura di essere ancora danneggiati, il nemico non è l’ansia, il panico, la paura, loro sono nostri potenti alleati, il punto è che cosa diavolo ci sta minacciando, da fuori, da dentro.

Sappiamo che fino a quando non avremo trovato la risposta vera, i “sintomi”, i segnali che senza mai mentire ci dicono che ci stiamo difendendo come possiamo, ovviamente resteranno con noi, esattamente come la febbre: sappiamo che la temperatura corporea è uno dei modi con cui il nostro organismo si difende da un attacco, sappiamo che assumere farmaci che la abbassano ci fa sentire meglio, ma che non è quello il problema, la febbre  è una risposta ad un attacco, e bisogna neutralizzare ciò che ci attacca, non solo, e non tanto, la febbre.

Sappiamo di poter sapere rapidamente se chi promette aiuto è davvero capace di farlo, che riusciamo a scoprirlo in tempi abbastanza brevi, mai immediatamente, questo lavoro richiede tempo, ma non un tempo infinito, non anni, non mesi… in qualche settimana, al massimo ( e per chi sta male, qualche settimana è quasi una eternità, lo sappiamo), dobbiamo avere prova che qualcosa è definitivamente cambiato, che stiamo avvicinandoci alla meta.

Quale è la prova? Per ciascuno è diversa, poiché dipende da che cosa sta scoprendo di sé, ma qualche scoperta ci deve necessariamente essere, qualcosa di nuovo, e che sentiamo, proprio sentiamo, che ci aiuta e conforta almeno un poco: è solo un inizio, il lavoro va completato, ma questo deve essere l’inizio.

Patrizia (nome “d’arte”, ovviamente) mi dice: andavo dallo psichiatra e parlavo e piangevo, lui ascoltava, e gli davo 150 euro ogni volta, e poi tornavo e piangevo, e lui ascoltava, e gli davo 150 euro… e poi mi sono detta, ma io vado dal prete, gli faccio una offerta simbolica, io piango, lui ascolta, mi dice cose inutili, pazienza, e i 150 euro li spendo per mia figlia… e poi ho smesso di andare anche dal prete.

E come lei tanti tantissimi altri, psicoqua, psicolà, terapia questa, terapia quella, mesi, anni, non cambia niente… mica sempre l’incontro funziona, tante le variabili, per lo più ignote ai “pazienti”, e, temo, troppo spesso ignote anche ai terapeuti. A volte funziona, però.

Se questo non succede, abbiamo la prova che chi ha promesso un aiuto efficace non sa come mantenere la promessa, e va allora abbandonato: questo è estremamente importante per tutti noi, non siamo noi difettosi, incapaci, malati, inadeguati, è proprio lei, o lui, che non è in grado di darci l’aiuto promesso.

E allora, in quel caso, che cosa si deve fare, che cosa è bene fare? Questo è facile, è bene salutarsi e cercare ancora, accettando quel che abbiamo scoperto, e cioè che è difficile trovare, ma non è impossibile.

Ero preparato a incontrare situazioni estremamente difficili, sono trent’anni che faccio il mio mestiere, ma devo riconoscerlo, le persone che aiuto, liberamente e gratuitamente (e le prove che il mio aiuto è efficace ci sono), spesso si sono trovate in situazioni che potremmo considerare annientanti, o si trovano ora in condizioni estremamente difficili, apparentemente prive di ogni speranza di soluzione.

Ma sono ancora qui, e, a modo loro, continuano a provarci, nonostante tutto: affrontano le battaglie della vita disarmati, senza saperlo, le perdono tutte, ogni giorno, sono profondamente e ripetutamente ferite, ma sono ancora qui: loro, chiunque di loro, è migliore di me, anche se ci sono stato anch’io, in quell’inferno, io resto un privilegiato, senza colpa né merito di esserlo.

Questa consapevolezza la devo a loro, e per me è un tesoro di inestimabile valore.

È stato un onore servirle, è un onore continuare a farlo.

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