La vita è così… o no?

Io credo che la vita è così e va accettata per quello che è non per quello che vorremmo fosse

A me questa frase piace tantissimo, e mi infurio per come vedo che viene comunemente usata: furia? Addirittura? Sarà mica un po’ troppo…

È proprio furia, rabbia, cui vorrei dare sfogo, prendendo a bastonate i mercanti del tempio, rovesciando le loro truffe ed i loro banchi, sì, devastazione totale, che bello sarebbe… mi limito ad immaginare, e a contentarmi di questo.

La vita per quello che è: e c’è davvero qualcuno che osa dire di sapere che cosa, esattamente, è la vita? Di aver pianamente risolto le domande che tormentano i sapienti dall’inizio dei tempi, che cosa è l’energia, che cosa è la materia… fin qui, fino a noi, l’unica risposta certa che abbiamo è che non sappiamo un bel niente.

Ed è ovvio che, se non sappiamo che cosa è l’energia, che cosa è la materia, non possiamo assolutamente sapere che cosa è la vita, materia ed energia messe insieme: e quindi, che cosa diavolo vuol dire “la vita è così”? Così come? In che senso?

La mia Regina getta un poco di luce su questo mistero, aggiungendo “non quello che vorremmo fosse”.

Ahi, entra in campo il desiderio, ciò che vorremmo e ciò che non vorremmo, e sono subito guai, e grossi anche.

Ma sembra dire, almeno, che in quel momento, mentre pronuncia o scrive quella frase, la vita non è come quella che vorrebbe, il che, in sé, non è bene: perché no?

Perché il nostro desiderio, qualunque desiderio, è frutto di un lavoro più o meno complesso, lavoro che tutti noi facciamo, continuamente, per placare i nostri numerosi bisogni.

E i nostri bisogni, tutti, sono il frutto di milioni, miliardi di anni di evoluzione delle forme viventi, risposte che ciascuna specie vivente ha adottato a fronte della spinta, necessità, obbligo che è indissolubile da qualunque forma di esistenza: esistere, per i viventi comunemente riconosciuto come sopravvivere.

E se la vita non è come la vorrei, allora la mia sopravvivenza è almeno in pericolo, per non dire seriamente minacciata.

Ma se della vita, dell’energia e della materia, non sappiamo nulla, come possiamo dirci, con buoni margini di verità, che siamo in pericolo, o che siamo al sicuro?

C’è un trucco? Magari un barbatrucco? Ciò di cui tutti gli umani si fidano è che, anche se non sappiamo che cosa sia, da questo non deriva necessariamente che non possiamo o non sappiamo come averci a che fare: ora è mezzogiorno, il mio stomaco fa rumore, un po’, e sento quella sensazione familiare che non è proprio fame, ma che ho trovato collegata, da decenni con successo, al desiderio di mangiare qualcosa.

Le azioni si dipanano semplici e rapide, così mi preparo uno spuntino, e sì, oggi ci sta, anche un calice di bollicine, sono festoso, ho anche voglia di festeggiare, un allievo sta riuscendo con me a togliersi da un brutto pasticcio, e ci sta riuscendo benissimo, meglio di quanto mi aspettassi.

Anche per lui la vita non era proprio quella che avrebbe voluto, periodo difficile, c’è crisi, il lavoro e i soldi scarseggiano… e poi il disastro di una nuova relazione, stupenda, con una donna bellissima, saggia, intelligente, finalmente fiorita tre mesi fa dopo anni di tentativi e schermaglie, resistenze e speranze… lei adesso non ne vuole più sapere.

…e lui da poco ha mollato la moglie, dopo venti anni, è uscito di casa (resta alla ex-moglie) e affronta il non facile compito di fare il papà di un ragazzino, voluto e amato, (lui resta con la mamma, un classico) dopo la separazione.

Avere a che fare con uno spuntino di mezzogiorno è decisamente più facile che avere a che fare con la situazione con cui aveva e ha a che fare il mio ottimo allievo, ma resta il fatto che ci abbiamo a che fare, è irrilevante, ora, che abbiamo successo oppure no… lo possiamo desiderare, ma è un pezzo diverso.

La cosa certa è che siamo capaci, in qualche modo, di averci a che fare. E che, dato che siamo ancora vivi, beh, fin qui, nel complesso, ce l’abbiamo fatta, no?

Per noi umani è impossibile avere a che fare con qualsiasi cosa senza che ci raccontiamo che cosa è, senza un racconto, più o meno lungo, più o meno complesso: il racconto, in sé, credo sia molto meno importante di ciò che lo genera.

Ce lo troviamo nella testa, o nel cuore (ai romantici piace di più il cuore), è dentro la nostra stupenda e stupefacente macchina biologica (sì, non sono romantico), e sappiamo che proviene, che è generato dal nostro incredibile sistema neurale: il racconto, piaccia o non piaccia, coincide con una parte dell’insieme delle azioni che possiamo mettere in campo (incluso il pensare, pensare è invisibile per tutti tranne che per chi pensa, ed è una azione) per avere a che fare con “la cosa”.

I nostri bisogni non sono racconti, i nostri desideri sì.

Il mio allievo aveva, e ha, bisogni ineludibili, gli stessi, in larghissima parte, della sua adorata Niobe: essere compreso, onorato, amato, aiutato, accolto. Egli e Niobe avevano avuto ripetuta prova che entrambi erano in grado di placare i bisogni dell’altro… quindi tutto bene? La vicenda, ad oggi, dice proprio di no, tutto male, tutto finito.

E perché? Come mai?

Le ripetute prove erano state più simili a singole stelle di un cielo stellato… e le tante altre stelle, importanti, di diversa natura, erano i tanti “desideri” di ciascuno, diversi per ciascuno, impossibile ignorarli, impossibile conciliarli… se non ricorrendo a ciò che tutti noi conosciamo e abbiamo fatto e usato, piccole bugie, far finta di niente, sopportare il fastidio, temporaneamente, in vista di un premio che arriverà dopo.

Perché no? Spesso funziona, no?

Dati gli esiti, lo “spesso funziona” in questo caso, e in tanti altri che ho visto e vissuto, non è bastato, possiamo cercare una via migliore, almeno provarci.

Come? Per cominciare suggerisco due cose, la prima è cercare di tenere distinti (e mica è facile, lo so, ma si riesce, un passo alla volta) bisogni e desideri, e cioè i bisogni sono un conto, i desideri, che sono i “racconti” conosciuti di come possiamo placare i bisogno, sono un altro conto.

E non fidarsi troppo dei desideri… in fondo sono roba vecchia, racconti che abbiamo scritto e riscritto innumerevoli volte, letti e riletti, detti e ridetti, essi sono frutto dei nostri passati incontri con la vita… non possiamo farne a meno, ci servono altri racconti da mettere al loro posto, senza non si può stare, nessuno può.

Ecco, non fidarsi troppo è una condizione necessaria, non sufficiente, ma necessaria sì, per aprire uno spazio-tempo in cui possiamo provare a “scrivere” racconti nuovi, adatti all’adesso, al nostro qui e ora: nessuna garanzia di successo, figuriamoci, solo possibilità.

Sembra poco? Magari lo è… per me no, è epico. Vuol dire che possiamo tentare di cambiare “vita”: il mio allievo ha mollato la moglie, dopo vent’anni, avendo per vent’anni sopportato che i suoi bisogni, la sua fame di vita non venisse placata, se non in minima parte, e si è aperto alla possibilità. Portandosi dietro, senza saperlo, e quindi senza poterci fare niente, i suoi desideri, nella forma in cui erano… tristemente, incompatibili con i desideri di Niobe.

Niobe, plausibilmente, ha fatto lo stesso. Neanche lei viene da una storia facile e felice, cinquant’anni di inferno, per dirla in breve.

Per entrambi, per trovare un’altra strada, il primo suggerimento è quello, distinguere bisogni e desideri, e non fidarsi troppo dei propri desideri.

Il secondo è suggerimento è no bugie. Facile? Scherziamo? Sono scivolose e imprendibili come le anguille insaponate… ma alcune, grosse e pesanti, più lente a muoversi, possiamo intercettarle. Fermarle. E così allenarci anche a fermare quelle più insidiose.

Un esempio? Niobe dice che raggiungere l’orgasmo durante l’intimità non è poi così importante…. È quello che le è sempre accaduto, il che non ha affatto impedito che… e qui una tiritera infinita (sì, meglio diffidare anche delle tiritere infinite)

Beh, questa non è proprio una bugia, fa parte della classe peggiore delle non-verità, è una sporca menzogna.

Per una coppia non è importante, è vitale, placa un bisogno indomabile altrimenti, possente quanto quello di respirare, di mangiare, di bere.

Il racconto di Niobe è verità, nel senso che è il racconto che lei ha sempre usato per maneggiare queste ricorrenti distonie, queste delusioni profonde e sanguinose… e incancellabili. Sesso? Mavà, molto, molto di più, questo è Eros, un dio giusto e implacabile.

E questi racconti-desideri non possono più essere accolti senza tentare, almeno tentare, di riscriverli un po’… da tutte e due le parti. Se Niobe propina questo racconto, il mio allievo lo accoglie quasi senza fiatare, è qualcosa che ha incontrato spesso negli anni della sua vita, è “normale”, no?

Per quel che ne ho capito, vivere ha ben poco a che fare con la normalità, che è quel che è sempre stata, statistica, la curva gaussiana… ciò che accade qui e ora magari dopo potrà essere messo dentro o fuori dalla gaussiana, a futura memoria, ma adesso no, qui e ora proprio no.

Qui e ora c’è la mia compagna che non ha goduto con me della vita, qualunque cosa sia, non importa, qualcosa le ha impedito di placare con me un bisogno profondo e ineludibile, suo e mio: sì, suo e mio, simultaneamente, necessariamente, inevitabilmente.

Qualcosa ci ha impedito il passo, a tutti e due.

Che facciamo? Ci diciamo che è “normale” e andiamo a prendere un gelato? Questo dice la vecchia via, questo indicano i “desideri”, i vecchi racconti noti e stranoti, letti e riletti, detti e ridetti.

O ci fermiamo, mia amata, mio amato, ci prendiamo per mano, e cerchiamo, coraggiosamente, insieme,  di scoprire che cosa ci ha portato via ciò di cui abbiamo bisogno… e poi magari vedere che cosa ci possiamo fare… magari qualcosa ci possiamo fare, finché non proviamo mica lo sappiamo.

Stando lontani dalla colpa, eh, mi raccomando, la colpa è una bestiaccia difficilissima da affrontare, e capace di fare danni enormi.. ma non posso qui dire di più.

Tempo di avviarsi ai saluti, siamo vicini alle millesettecento parole…

Eh sì. mi piace tantissimo, la vita è così e va accettata per quello che è, poiché è una meraviglia ininterrotta, anche quando la forma dei nostri desideri, complicati e troppo spesso accettati per come si presentano, ci mette di fronte alla prova che da lì non si passa, che il tentativo di esaudire quel desiderio non è riuscito, e non siamo riusciti a placare questo o quel bisogno vitale.

La genetica ci spinge ciecamente a usare i nostri desideri, i nostri software neurali consolidati e collaudati, per placare bisogni e sopravvivere: a molti di noi è possibile non solo ritentare, sperando di avere miglior fortuna, ma anche provare a vedere se sia possibile cambiare la forma di quel desiderio e così esplorare un modo diverso per ottenere la necessaria soddisfazione.

E, mirabile visu, alcuni di noi ci riescono anche.