AI Travel – l’inizio

Del self-publishing avevo sentito parlare da una allieva, che mi raccontò di aver incontrato un tizio, ex alto dirigente di una grande multinazionale, che si era ritirato dal business per dedicarsi al self publishing, ricavandone un sacco di soldi.

Non mi era per niente chiaro che cosa fosse davvero, in quel contesto ci stavamo occupando di tutt’altro, corteggiatori che si erano fatti avanti, ma la mia macchina, che è in fondo un po’ sparagnina e avida, si era messa via l’informazione, non si sa mai.

E così, quando un vecchio amico mi parlò di questo suo nuovo progetto che riguardava il self publishing, della complessità di gestione da trasformare in sequenze piane e semplici, lavoro a cui si dedicava nei ritagli di tempo lasciati dalla conduzione dei suoi affari, gli proposi di dargli una mano.

La mia giornata standard è generalmente, come quella di molti, piena di cose da fare, ma la macchina (spiego dopo meglio) non mi lasciò scampo: questa roba va studiata e compresa meglio, è una forma di imprenditoria, individuale, a quanto sembra, solita regola del uno su mille ce la fa, fa niente. Riguarda l’editare, se non lo scrivere, e vendere libri, non è affatto disonorevole, e poi ci sono di mezzo queste diavolerie delle AI di cui non sai un tubazzo: studiare, fare, provare, non restare tagliato fuori del tutto, te la ritroverai tra i piedi in continuazione.

Non diventerò mai uno smanettone serio, mi interessano altre cose, ma la faccenda somiglia dannatamente ad un’altra grande svolta, che avevo visto e vissuto quasi quarant’anni fa, e che inizialmente avevo preso per una bagatella, adottando la battuta “parlerò con questa roba quando questa roba parlerà con me”: ci misi un paio di anni a decidermi ad acquistare, a rate, un M19 della Olivetti.

Ero in ritardo, ma molto meno di molti altri. Passai da una macchina da scrivere super economica, sempre della casa Olivetti, con cui avevo redatto la tesi di laurea (sì, c’erano già le macchine da scrivere elettriche, magnifiche, ma per l’uso che dovevo farne io, che neanche sapevo come si “battesse a macchina”, andava bene quella robetta plasticosa da pochi soldi) al personal computer, sistema operativo DOS.

Ero in ritardo, ma molto meno di altri. E da allora il pc, con tutte le sue diavolerie, gli hard disk, i floppy, i comandi da sapere per fargli fare qualcosa sono stati ovunque con me: e quando pochi anni dopo arrivò la rete, mi ci buttai subito.

Il tema della AI, da grande consumatore di Science Fiction (quella buona, eh, mica i romanzetti ambientati in futuri più o meno colorati, è un genere letterario spesso disprezzato, non in tanti si sono accorti che lì si è andata a rifugiare l’utopia, la ricerca dei mondi possibili, dei futuri possibili, sparita da tutti gli altri contesti) l’avevo incontrato ancora prima, eccitante e favoloso… una favola, appunto, a volte finiva bene, a volte mica tanto.

E adesso me lo ritrovo come fenomeno di massa, si è infilata dappertutto, dove neanche sappiamo che si è rintanata, ma c’è, nascosta, ma c’è… e abbastanza spesso è proprio in primo piano, sotto i riflettori, business con volumi in crescita logaritmica e tanta gente, dio quanta gente.

L’ultima notizia (ma è già “vecchia” di qualche mese) è che le applicazioni costruite con openAI (aperta un cavolo, come del resto le altre opensource, prova a entrarci senza sapere che diavoleria è, e vedrai come va a finire) sono oltre 3 milioni… a quel che ne capisco sono app, cioè fanno qualcosa di, in qualche misura specializzato, come le altre app che usiamo (una volta si chiamavano programmi, e avevano l’estensione .exe, se non conoscevi i comandi da impartire quelle ti facevano la linguaccia “bad command or file name”, ed il cursore blinkava immobile), la differenza travolgente è lì.

3 milioni di .exe che non ti fanno più la pernacchia, magari non fanno quello che gli dici, per niente o in parte più o meno grande, il fatto è che gli piarli come parleresti ad un cristiano (qui sta per essere umano, absit iniuria verbis), e loro fanno.

Che c’entra il self publishing con le AI? Beh, uno dei grandi ambiti in cui si è infilata la AI è la generazione di testi, di qualunque forma e scopo. Il self publishing, appunto, publisha, e servono contenuti: il matrimonio, più o meno meretricio, è inevitabile.

Non mi interessa un granchè sapere e capire come esattamente funziona, a me interessano due cose, fondamentalmente: capire il meglio possibile che cosa è, al di là di ciò che appare evidente sotto gli occhi, e saperne abbastanza da poterla usare per i miei scopi.

Qui e adesso, con buona pace di tutti, NON per scrivere questi contenuti: questi sono generati dalla mia macchina. Vero, sto ricorrendo a Word, che ho visto, per così dire, neonato, ma già una meraviglia a confronto dell’editor dos con cui avevo inziato… ma è poco più di carta, penna, carta carbone, e archivio, lui non pensa al mio posto.

Neanche AI pensa, anche se il risultato, in termini di visibilità dei contenuti, sembra  lo stesso: provate chatGPT, o Bard, o Jasper, formidabili.

Ciò che pare, tuttavia, non necessariamente è: la macchina biologica (che poi sono io… io chi? mica facile la risposta) che sta usando word in questo momento, questa è capace di generare pensiero.

Le AI no, almeno, non ancora.

Ma adesso che sono loro a cercare di parlare con me, che non mi sbeffeggiano più, ah no, mi sembra proprio idiota (oltre che sostanzialmente impossibile) non starle a sentire e provare a renderle utili a qualcosa che per me abbia valore.

Insomma, ho cominciato un altro viaggio, mentre proseguo con gli altri viaggi, in buona compagnia, la via italiana al continuous improvement (https://microkaizen.it), l’esplorazione del continente sconosciuto che abbiamo chiamato Fisica dello Stato Sociale della Materia (https://socialphysics.eu , la materia per noi occidentali più densa, insidiosa e ribelle alla comprensione scientifica), nell’alveo di quello che per me, per ora, è il meglio che sono riuscito a trovare, l’immenso fiume della Sistemica del Comportamento Umano (https://humansystemics.net/).

Questo post (o articolo?... la mia macchina continua a confonderli) lo metto qui, e anche sul sito del mio fiume, per ora, https://humansystemics.net/ai-journey/

Sì, sono in ottima compagnia, pochi e selezionatissimi compagni di viaggio… ma non c’è motivo di principio che impedisca alla compagnia di di crescere, i criteri restano quelli (miei e nostri, degli altri compagni di viaggio), buona e selezionatissima.

Magari alla fine ne uscirà un libro, perché no, hai visto mai che il self publishing…