CHARLINE

Il primo racconto

Trent’anni, o poco più, solita storia, attacchi di panico ripetuti, corse in ps, non c’è niente, non ha niente, ma il panico torna… vita difficile. Perché difficile?

Ehhh, perché il bimbo, ora di neanche un anno, è nato prematuro, parto difficile, ha avuto una importante emorragia celebrale, sì, celebrale, ora ha dieci mesi, non sta su seduto, non gattona, è buono, poverino, tra poco faremo altri accertamenti, il fisioterapista dice che ha visto casi peggiori, si riprenderà, ci vuole più tempo, ma si riprenderà… e io penso a tutto quello che potrebbe succedere, a come potrebbe andare, certo anche che potrebbe andare molto male, e a come farò, a che cosa potrò mai fare…

Come? Il marito? oh sì, il marito aiuta, fa tutto quel che può, ma lavora, un lavoro pesante, fa l’operaio, pochi soldi, io facevo la parrucchiera, ma ora con il bimbo come faccio… sono da sola… qualcosa faccio, quando mia mamma me lo può tenere, ma anche loro hanno da fare, hanno da lavorare, e star dietro a mio fratello, quindici anni… devo per forza fare qualcosa anch’io, con lo stipendio di mio marito non arriviamo a fine mese…

Nooo, lui è buono, non ci fa mancare niente… è che è molto attaccato alla sua famiglia, a sua mamma, ogni giorno sono almeno dieci telefonate, adesso con wattapp scatta foto del bimbo a tutto spiano e le manda alla nonna, vabbè, fatti suoi, se gli fa piacere, faccia pure, no? è che questa storia della sua famiglia, che vive qui vicinissimo, va avanti da troppo tempo, e lui mi obbliga ad andare tutte le domeniche, per tutta la giornata, dai suoi, pranzo e cena, non stiamo mai insieme, noi due, noi tre, nella nostra famiglia…

Io mi sono sposata per avere la mia famiglia… ci conosciamo fin da piccoli, io avevo 15 anni, lui 20, era grande, e anche allora era così… fidanzati per 10 anni, e poi ci siamo sposati, ma sempre dai suoi, sempre dai suoi… come dice?

Ah sì, emmagari, durante la settimana è sempre stanchissimo, parte la mattina presto, torna alle due a casa, mangia un boccone, va in bagno, e poi torna al lavoro, poi arriva a casa alle otto e mezzo, ceniamo e poi a letto presto, spesso lavora anche il sabato, e poi ogni domenica dai suoi, dal mattino alla sera, sono obbligata.

Certo che gliel’ho detto, non è per la cosa in sé, non lo facciamo praticamente mai, e lui dice che dovrei essere contenta di essere amata tantissimo anche senza quello, e a me non va bene, insomma… eravamo anche arrivati al punto di separarci, arrivati alle carte , insomma, poi si sono messi di mezzo i suoi e i miei, sua madre infuriata, e mica dovremo far sapere al paese che vi separate perché mio figlio non è bravo a letto, no, i miei che mi davano della pazza, ma che fai! Che cosa credi di fare!

Avevo anche trovato un altro, più piccolo di me, ma era più maturo di mio marito… come? Ah sì, le cose andavano bene con lui, e tanto anche… poi mi sono fatta convincere a riprovare, avevo sempre sperato che lui sarebbe cambiato, che il matrimonio avrebbe cambiato le cose… e invece… e adesso ad ogni problema lui mi tira fuori la storia di quell’altro, quando provo a dirgli che non voglio andare dai suoi mi fa scenate da malavita, rompe le cose di casa, mi urla dietro che però con quell’altro non facevo tante storie

E devo andarci, per farlo smettere, e poi quando sono dai suoi mi vengono gli attacchi di panico, e ci devo andare lo stesso… eh? Ennò, non mi posso far seguire da nessuno, non ci sono soldi, e poi sono qui da sola con il piccolo, no, mica gli ho detto niente di questo che facciamo io e lei, figurati, so già come va a finire, rifischia tutto alla mamma, che poi viene a impicciarsi anche di questo, già mi entrano in casa ad ogni momento, mica voglio impedirgli di vedere il  nipotino, ma non si può andare avanti così, e ogni volta che mi entrano in casa a me viene il panico…

***

È un pezzo di una storia, una delle tre che racconto qui, tre delle tante che ho ascoltato, di tre persone delle tante che ho aiutato, e che mi hanno aiutato a non dimenticare la forza, cieca e poco contrastabile, di ciò che ci circonda e con cui siamo costretti a cercare di averci a che fare.

L’ambiente

Cerchiamo di vedere le cose dal punto di vista di Charline (nome d’arte, ovviamente): nasce tra povera gente, che si arrabatta per mettere insieme il pranzo con la cena, bassa scolarità i genitori, fanno quel che possono, da come parla si capisce che se va bene ha finito le scuole dell’obbligo, come le chiamano ancora, probabilmente lavora come apprendista parrucchiera, impara un po’ il mestiere, abbastanza da poterlo fare poi anche in casa, o andando nelle case delle clienti, gente del paese, tutta povera gente, quella ricca si serve altrove, nei saloni…

A quindici anni incontra il futuro marito, uno del paese, più grande di lei… come tutti guarda la tv, va al cinema, ogni tanto, quel che sa della vita lo ha imparato guardando come vive la famiglia in cui è nata, qualcosa a scuola, qualcosa dai racconti della gente che frequenta, amiche, clienti, la gente del paese… che ci sia qualcosa che non va con il fidanzato lo impara presto, ma come fa a capire che cosa esattamente non va e come averci a che fare? È buono, innamorato, in giro c’è molto di peggio, se lo tiene, migliorerà, crescerà, diventerà grande, il matrimonio cambierà tutto…

E ora il quadro è altro che da panico: il figlio, fatto perché i figli si devono fare, con il compagno sbagliato, sfortunato, povero piccolo, danneggiato alla nascita, magari non si riprenderà mai più, un altro infelice su questa terra, bisognoso di cure continue, che non potrà mai avere una vita “normale”… e lei, la mamma, come potrà fare i conti con questo, come potrà avere a che fare, per tutto il resto della sua vita, con questo?

Il marito, un disastro, non è marito ma fratello, forse, probabilmente più un figlio adottivo, probabilità che “cresca” pressochè nulle… anche lui è figlio di quella vita, ha imparato le stesse cose dalla stessa gente, fa quello che fanno tutti, per lui il problema è la moglie incontentabile, probabilmente la pensa così, l’attaccamento alla famiglia di origine è una cosa buona, no? lo sanno tutti, solo la moglie sembra non capirlo.

Il lavoro non c’è, ce n’è poco, pagato poco, da quello non può aspettarsi di più, non può sentirsi e vedersi indipendente e capace di stare in piedi da sola, né ora, né dopo, non se ne può andare quando vuole e dove vuole, portandosi appresso il figlio, è costretta a restare dov’è, ad accontentare il marito, che di fatto è quello che porta lo stipendio a casa, non basta, ma senza quello è la fine…. e meno male che non se lo gioca alle slot machine, lo fanno in tanti.

Non può contare sulla famiglia di origine, anche loro faticano ad arrivare a fine mese, e le hanno già detto che è pazza se pensa di poter mollare il marito, può considerarsi fortunata che le sia andata così… il che vuol dire che non la aiuteranno, che si opporranno.

Non ha mezzi e conoscenze sufficienti a contrastare e modificare niente del quadro in cui si trova.

Abbandonare il figlio? Impensabile

Mollare il marito? Pensabile, ma poi, come campa? Mica che si aspetti chissà quale vita, ma anche ridotta al minimo, un tetto sulla testa, mangiare, vestire, tenersi pulita, ehh, costa l’iradiddio, e non ci sono soldi, maledizione, non ci sono soldi.

Il lavoro? e che lavoro potrebbe mai fare, se non quello che sa fare ora, un po’ parrucchiera, un po’ estetista, su quel lavoro non ci si campa, non si guadagna abbastanza…

Convincere la famiglia di origine ad aiutarla? Battaglia persa in partenza, non solo hanno mezzi limitatissimi, non possono proprio capire la situazione in modo diverso da come la capiscono.

La via della tradizione

Altro che panico, è circondata, nessuna via di uscita, tutto è contro il suo desiderio di poter avere una vita abbastanza buona.

Fa già tanto a reggere quel che c’è, con un filo di fiato, finché ce la farà.

Le tocca seguire, obbligatoriamente, la strada che ha, e tentare di contentarsi di quella, come hanno fatto i genitori da cui ha imparato le lezioni fondamentali della vita, e i nonni, e i bisnonni, la vita è questa, la vita vera è così, fa schifo, ma non ce n’è un’altra, non per noi.

Il figlio danneggiato? Ehhhh figlia mia, speriamo di no, magari no, magari davvero recupera e diventa “normale” e poi farà la vita che potrà, magari a lui andrà meglio… e se non fosse così, pazienza, ce lo teniamo, mica lo possiamo ammazzare o abbandonare perché non ci è riuscito come lo volevamo, no?

Il marito mammone? Ehhh, ci teniamo pure quello, sennò il sostentamento ci viene a mancare…  quante sono state, nella storia di questa porca umanità, le donne comprate e pagate un tozzo di pane, un numero infinito… destino avverso, sfiga, condizioni di partenza miserabili… quante sono anche oggi, e non solo tra i “poveri”, ma anche più su, anche molto più su… coraggio Charline, ci ha detto male anche a noi.

Il lavoro di merda? Ehhh, e che altro sai fare, dì… te lo tieni, tiri su quattro soldi quando puoi, contentati, figlia mia

La prigionia della casa e degli suoceri? Ehhh Charline, chi ti ha detto che la galera tocca solo ai delinquenti? Sei nata prigioniera della miseria e della ignoranza, del sopruso dei ricchi e dei potenti, non te ne eri accorta, nessuno ti ha mai detto queste cose, la tv e i film ti hanno aiutato a credere che la vita vera, quella buona per te, fosse possibile, sono fiabe per bambine, fiction per ragazzine… lo scopri ora, a trent’anni, beh, un po’ tardi, no?

Conténtati Charline, come hanno fatto papà e mamma, i nonni, i bisnonni, generazioni e generazioni indietro nel tempo… se ci sono riusciti loro, ci puoi riuscire anche tu, meglio una vita di merda come questa di quella che ti toccherebbe se non ti accontenti.

E vabbè, se poi, ogni tanto, ci scappa qualche scopata soddisfacente con qualcuno capace di maneggiare gli attrezzi, ecché sarà mai, bada solo di farlo di nascosto e senza farti pescare, sennò sono guai infiniti.

E vabbè, se poi ti vengono gli attacchi di panico, beh, quasi meglio, no? non ti mandano a lavorare nei campi, ti usano qualche riguardo in più, sei nervosa, fragile, meglio prendere un po’ di pasticche, vai dallo psichiatra con gli attacchi di panico, qualcosa ti dà di sicuro

Conténtati, dammi retta, conténtati Charline.

Alternative immediate?

Alternative? Ora? Così come sei, con quello che hai, con quello che sai?  Ah, ma certo che ci sono, e sono sicuro che ad alcune di queste hai già pensato, ci pensi da tanto…

Magari puoi trovare un uomo che ti prenda e ti mantenga, magari anche prenda tenga e mantenga il piccolo, più maschio e godereccio di quel pupetto castrato che hai per marito… e forse questo è uno dei sogni a cui ti aggrappi, la speranza è l’ultima a morire. Ma sai già, o dovresti saperlo, che trovare uno così mica è facile, e la concorrenza è spietata… e forse non sai, e sarebbe meglio che tu lo sapessi, che se già è difficile trovarlo, è ancora più difficile tenerlo.

Oppure forse potresti fare il mestiere più antico del mondo, sì, la puttana, ce ne sono tante, ce ne sono tanti, femmine e maschi e trans… quello forse sai come si fa, o potresti impararlo in fretta… ma poi c’è il problema dei clienti e delle clienti, dove li trovi, e poi la sicurezza, fisica, sanitaria e di incasso, come ti proteggi?… mestiere non facile neanche quello, e cominci ad essere vecchiotta, 30 anni non sono pochi.

Oppure puoi scegliere tra questa prigionia, certo che è una prigione, e non ci sono vie di uscita per te, oppure la galera vera, magari è più interessante, basta che minacci il marito con un coltello, magari gli fai un taglietto sul braccio, stai attenta a non ucciderlo, questo no, o che diffondi immagini dove tormenti tuo figlio, o spacchi vasi e fai un po’ la pazza violenta con gli suoceri (tutto per finta, tutta una recita, ma chi ti vede mica lo sa), e magari ti arrestano e ti mettono finalmente in galera, quella per i delinquenti.

Non sarà un paradiso, dicono di violenze e soprusi anche peggiori, botte e abusi sessuali, ma magari no, magari ci saranno programmi di riabilitazione, magari potrai studiare quello che non hai potuto studiare prima, marito, genitori, suoceri e figlio fuori dai piedi, affanculo… poi si vedrà.

Oppure puoi fare la pazza per un po’, urlare e sbraitare, litigare violentemente con il marito, suoceri e genitori, tentare un finto suicidio, impasticcarti, richiedere un trattamento sanitario volontario, anche quella è un’altra prigione, farmaci a gogo, costrizioni, non sono affatto escluse violenze, anche abusi sessuali, si sa, in quegli ambienti capita di tutto, e tu sei ancora attraente… tutto finto, tutto una recita, per ottenere magari un filo di libertà in più, sussidi, sbarcare il lunario, cavartela in qualche modo, al piccino ci penserà qualcun altro, tutti gli altri fuori dai piedi.

 

L’alternativa della conoscenza

E io, cara Charline, ho forse qualcosa di meglio da proporti? Se ho scritto quel che ho scritto è evidente che capisco abbastanza bene la tua situazione, non credi? Per uscire dall’inferno del panico, beh, non è ancora detto, ma è possibile che ci siamo già riusciti, un solo incontro: non sei pazza, o malata, il panico è il minimo che ti poteva capitare, il panico è una difesa estrema, arcaica, che scatta in situazioni disperate.

E sfido chiunque a sostenere che la tua situazione, così come è, per te, con quello che possiedi (sostanzialmente nulla) e sai di come funziona la vita degli umani (poco o nulla), non sia disperata: lo è, non ci sono dubbi.

Che migliaia di persone, milioni, centinaia di milioni al mondo oggi, siano in condizioni molto simili alle tue non può, non riesce a consolarci.

Ci serve una via di uscita, e sappiamo che per uscire da questo inferno, quello in cui sei stata “colpita” dal panico e che è l’origine della tua sana e non-patologica reazione di difesa, ci vogliono mezzi (risorse, denaro, non tantissimo, ma un po’ sì) e, soprattutto, conoscenza.

Perché serve conoscenza?

Serve per capire come sei finita in questa prigione, e se ci sei finita ci sono buone ragioni… eri piccola, tu dicesti, 15 anni sono niente, ma resta il fatto che ti sei presa questo fidanzato e poi te lo sei sposato, resta il fatto che hai smesso di studiare e hai imparato un mestiere che non ti permette, oggi, di potercela fare da sola… questo aveva buone ragioni, che vanno individuate, capite, riconosciute, per poter trovare alternative.

Altrimenti, anche potendo ricominciare, è molto probabile che rifarai quasi le stesse cose, quasi allo stesso modo, e otterrai quasi gli stessi risultati.

La conoscenza ti serve per riconoscere con maggiore precisione, e in tempo, che cosa è una trappola, e che cosa è invece una possibilità buona per te, che vale la pena tentare di afferrare.

Una conoscenza che non hai, che nessuno ti ha dato, che nessuno sin qui è stato capace di porgerti.

Non ho mezzi da darti, denaro, risorse, opportunità sicure… ho conoscenza buona, per me e per te.

E con questa conoscenza troveremo una via di uscita buona per te.

 

 

Meglio il panico

A quattordici anni, ne ho memoria nitida, incontrai gli scritti di Freud, e da allora, con una parentesi di alcuni anni in cui cercai di capire e usare Marx, il sentiero psicoanalitico fu per me l’unico sentiero che valesse la pena seguire, per trovare la verità di cui avevo bisogno, verità che, in parte, purtroppo solo in parte, ho trovato.

Potrei anche dire per fortuna, che è stata una fortuna non trovare quello che cercavo, poiché la ricerca di verità è continuata (e continua ancora oggi, e spero finché avrò fiato in corpo), e mi ha portato alla Sistemica del Comportamento Umano, conoscenza molto migliore, per completezza e congruenza, della psicoanalisi.

I due paragrafi che ho appena scritto li offro come prova della mia sintonia profonda e antica con i “curatori di anime” laici, psicoterapeuti, psicoanalisti e psichiatri, credo e vedo una radice comune, vitale e generosa, non ho nulla contro di loro.

Ho molto contro una conoscenza che non si oppone consapevolmente (Freud un poco, molto poco, lo ha fatto… il Disagio della Civiltà, 1929, ne è la prova) alle menzogne ed alle strumentalizzazioni della subcultura che alimenta l’ideologia del progresso, come è comunemente declinata nei nostri giorni, ideologia che celebra la progressiva distruzione dei nostri ambienti, reali e virtuali.

Subcultura propinata ai curatori di anime, di cui psicoterapeuti, psicoanalisti e psichiatri sono troppo spesso portatori inconsapevoli e ciechi, vittime anch’essi, senza colpe reali: così è stato insegnato loro, questo è stato insegnato a loro.

Riconosco qui il mio debito intellettuale a Enzo Leone Morpurgo, l’unico che ho incontrato e frequentato, più di quaranta anni fa: medico, psichiatra e psicoanalista, ha tentato pratiche cliniche coerenti con una prospettiva di coglimento del disagio mentale, del dolore mentale,  come anche, anche, originato da una concezione insana e folle degli attuali ordinamenti sociali, sostenuti dalle maggioranze, e protetti con la forza delle armi.

Psicoterapeuti, psicoanalisti e psichiatri, troppi ne vedo, che, di fronte ad un quadro, ad una storia come quella di Charline, delle milioni di Charline, propongono farmaci e psicoterapia, punto.

Troppi ne vedo, portatori di un modello della mente, di una comprensione dell’Io e dell’Altro sostanzialmente inesistenti, abracadabra vaneggianti, di una espulsione della conoscenza e della comprensione del contesto in cui vivono i loro “pazienti”, dei loro ambienti,  e della storia della costruzione dei loro neurogrammi, delle istruzioni per avere a che fare con la vita, scritte in codice neurale, espulsione che vanifica ogni serio intento di concreto aiuto, e perverte il loro lavoro.

Troppi non vedono persone, sistemi viventi di stupefacente complessità, alle prese con i loro ambienti, reali e virtuali, non vedono i nostri neurogrammi arcaici, straordinaria sofisticazione dei riflessi, ah sì, questi molto più facilmente osservabili, non vedono e non sanno come aiutare a modificare le antiche istruzioni che abbiamo ricevuto, rendendole più adatte ad avere a che fare con configurazioni di ambiente indicibilmente diverse da quelle in cui la nostra comune eredità è stata forgiata.

Troppi di loro vedono solo pazienti, da normalizzare, da ricondurre alla normalità di una esistenza acriticamente giudicata e spacciata per “salutare”.

Troppi non vedono gli ambienti delle persone, stanno alla larga dal anche solo prendere in considerazione che il “male”, l’origine della patologia vera sia nelle proprietà , nelle caratteristiche degli ambienti, caratteristiche e proprietà generate da un agire inconsapevole e dissennato dei cosiddetti “normodotati”, obbedienti e ciechi esecutori di software neurali arcaici.

Rendendo quasi obbligata la scelta di molti: se l’alternativa al panico, alla angoscia, all’ansia sono i loro farmaci e la loro “psicoterapia”, beh, mi tengo il panico e l’ansia, è molto più sano.

Che cosa hanno proposto a Charline? Diavolo, farmaci e psicoterapia, che altro mai potevano fare…

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