Produttività Rovesciata

“Sì, stiamo andando bene, abbiamo chiuso con un EBITDA incrementato del 30% rispetto all’anno prima, passando dal 15 al 22, investimenti robusti, nuove macchine a sei assi di lavorazione… l’officina può fare molto meglio, il mio obiettivo è aumentare la produttività del 30%”

Ci troviamo tutti e tre schiacciati sui soliti schermi da diciotto pollici, a parte uno, io no, io uso un monitor da 50 pollici, le videoconferenze sono comode, e la perdita di efficacia, come recenti ricerche hanno dimostrato, è risibile… ci troviamo a centinaia di chilometri di distanza, fisicamente, stiamo cercando di capire se e che cosa possiamo fare insieme.

Il nostro interlocutore è un General Manager (noi li chiamiamo DJ, nota di folclore locale), una cinquantina d’anni, ingegnere, a capo di una media industria manifatturiera, lavorazioni speciali di ferro e acciaio.

Cerchiamo di capire che cosa ha in mente con “produttività”, conosciamo abbastanza bene quella tagliola, quasi sempre un pezzo del pensiero principale è produrre di più, poi ne seguono altri, più velocemente, con più profitto, riducendo i costi, riducendo gli sprechi, riqualificando il personale, dannazione, trovare buon personale continua ad essere difficilissimo, mica posso fare smartworking, qui ci sono pezzi di ferro e acciaio da maneggiare, da robette di qualche chilo a pezzi da 50 quintali…

Ci vuole un capo-officina che sappia fare il suo mestiere, quello che abbiamo è un ibrido, non ce la può fare, ma c’è di mezzo un’ altro personaggio, che sull’organigramma è lui il capo-officina, ma non lo ha mai fatto, è un super-bravo con le macchine, il primo operaio assunto dalla ditta….

Il racconto della situazione, alquanto pasticciata (ma lo sono praticamente tutte le situazioni che incontriamo)  prosegue, noi restiamo con le orecchie dritte, pronti  a riacchiappare il filo della produttività, appena possibile… ma non trascuriamo affatto il valore del racconto che il DJ ci sta facendo: questi aspetti, apparentemente marginali, si rivelano essere, immancabilmente, tra i fattori chiave di risultato, per noi enormemente importanti, il nostro obiettivo è riuscire a trasformare la macchina organizzativa attuale in una macchina organizzativa che implacabilmente genera miglioramenti tutti i giorni.

Siamo anche particolarmente fortunati, il DJ, in un precedente incarico, era rimasto impressionato da un processista, fanatico del kaizen, e dalle cose che gli aveva visto fare… ma registriamo che da quella esperienza entusiasmante il nostro DJ non si è portato via uno dei pezzi più importanti, nella sua ricchissima descrizione non c’è traccia dei MUDA.

Stefano è un fanatico kaizenista, spesso mi sembra più un perseguitato che un fanatico, ne vede dappertutto, a volte dubito che riesca realmente a vedere altro, anch’io, sotto la sua guida, mi alleno un po’, ma confronto a lui sono un bebé con un sonaglino nuovo di zecca… devastante.

Magari poi Stefano decide di spiegare bene che cosa è MUDA, di presentare bene i 7 canonici MUDA+1, nel nostro lavoro più che nel lavoro degli altri è cruciale occuparci dell’ottavo, prima ancora che di tutti gli altri… eh? ah sì, è il MU-KAN-SHIN, il non-interesse… ne ho fatto un rapido cenno al DJ in un incontro precedente, lo aveva divertito…

Negli elementi che pian piano vanno a riempire il significato di “produttività” per il nostro DJ, l’elemento più vicino a ciò di cui siamo in traccia è lo spreco, comune traduzione occidentale del concetto di MUDA… ora, mica vogliamo fare una dissertazione linguistica, no no, noi siamo gente pratica, attaccata al gemba (se non sei confidente con il gergaccio kaizen, meglio, ti troverai meno confuso… se credi di sapere che cosa è il gemba, anche perché magari te ne hanno fatto fare indigestione, farai più fatica… ma poi andrà molto meglio), è che abbiamo visto negli anni che è meglio sapere su che cosa mettiamo, meglio, appoggiamo il piede.

MUDA, come troverai in letteratura, quella un po’ più evoluta, NON è lo spreco, e non è visibile in nulla di ciò che il DJ ci ha raccontato, fin qui, di che cosa intende lui con “aumentare la produttività”: sul punto siamo d’accordo, totalmente, è bene, è richiesto, è imprescindibile migliorare costantemente (per forza, noi siamo kaizenisti, vorrei anche vedere), e ottenere il riscontro di esserci riusciti misurando con la maggiore precisione possibile la produttività.

MUDA è una bestia cattiva ed esigente, che ci costringe a tenere su la testa e a guardare costantemente anche là, lontano, e non solo qui, dove posso, anche da incompetente, individuare uno spiacevole spreco.

Per individuare i MUDA, così ripete Stefano (sì, fino alla noia, e anche oltre, a volte) non puoi guardare solo qui, il gemba, devi guardare sempre anche là, là dove è il cliente, chiunque sia, e sapere che là, il cliente, ti fa sempre e solo una domanda, cattivissima: che cosa c’è di valore per me in quello che stai facendo?

Sembra una divinità persecutoria, un genitore molesto e intollerante, tipo quello che emerge dalla parabola dei talenti, pronto a salvare chi ci ha provato e non ci è riuscito, chi se l’è goduta senza dare frutto (insomma, almeno se l’è goduta), certo a riconoscere maggior merito (non parlate di merito a Stefano, lì, implacabilmente, vi morde… e sono morsi buoni, fanno bene, tirano via, ci provano, pezzi che non aiutano, non servono ad una buona vita) a chi riporta ricchezze accresciute, implacabile con chi, per timore di non riuscire e di perdere le ricchezze affidate, le seppellisce, e non ne fa nulla.

Ecco, il DJ ha già commesso il suo primo peccato mortale (oh lo sappiamo, ne commetterà infiniti altri), non tiene costantemente in mente la vera divinità Kaizen, il dannato, fetente, arrogante, presuntuoso, incontentabile Cliente, il compito che ci ha assegnato consegnandoci l’equivalente dei talenti della parabola: di tutto quello che fai, a me, Cliente, piace tutto quello che ha valore per me, e non piace per niente tutto quello che non ha valore per me… vedi di non fare cazzate.

Per Stefano, questo, non può e non deve succedere: se succede, quando succede (e succede con una frequenza inimmaginabile), la conseguenza è inevitabile, la produttività vera diminuisce.

A un certo punto, con il sorrisetto di quando sta per farti uno scherzo, dice: “ Posso proporre una definizione di questo KPI, della produttività, da mettere con le altre? Misuriamo la produttività (dobbiamo necessariamente misurarla, non si scappa) anche guardandola come rapporto tra il valore generato, espresso in valuta corrente a piacere, usiamo l’ euro?, e il valore del NON-Valore (letterale significato di MUDA) presente nel processo di cui stiamo monitorando la produttività”.

Il DJ fa di sì con la testa, come dire, beh, certo, come no… dal mio monitor mi sembra che si guardino e si sorridano, da intenditori: il DJ è un ingegnere, Stefano è un ingegnere, tra loro si capiscono al volo, anche a me sembra sensato, anche se non sono ingegnere… e poi qualcosa mi scuote, ehi, aspetta, qui ti sta fregando, occhio…. numeratore, okay, valore prodotto, insomma fatturato, meglio, incassi, la quota parte che l’officina genera, che ci vuole…. Al denominatore che cosa ci vuol mettere? Il valore del NON-valore?!?!?

La formula ha senso, non c’è dubbio, più piccolo è il denominatore, più grande è il “coefficiente” di produttività, e viceversa…. ma quel numero non ce l’abbiamo, no? Ci dobbiamo mettere Zero? Così la produttività, l’indice di produttività va all’infinito, per la nota proprietà dei numeri frazionari…

Potremmo almeno cominciare dagli sprechi, termine con cui gli occidentali hanno generalmente tradotto MUDA… ma Stefano, lo so già, mi prende a calci se mi azzardo a consentire a questa impropria traduzione… no no, la caccia agli sprechi non fa male in sé, ma fa malissimo se la si usa al posto del Kaizen, al di fuori del quadro rigoroso e spietato della caccia al NON-Valore, della caccia ai MUDA. Perché?

Questa l’ho capita quasi subito, fuori da quel quadro non si può garantire

  1. né che ciò che viene identificato come spreco sia MUDA, NON-Valore per il Cliente
  2. né, soprattutto, che ciò che NON viene identificato come spreco NON sia invece MUDA, NON-Valore per il Cliente, che è certamente il caso più frequente: lo spreco è frutto di un giudizio che viene formulato, prevalentemente, all’interno del quadro di come noi le cose le facciamo adesso, sotto la condizione tacita e taciuta che noi sosteniamo la bontà di come facciamo le cose adesso, che è il meglio che possiamo fare
  3. né che i rimedi che troviamo alla rimozione degli sprechi, a loro volta generino MUDA, NON-Valore per il Cliente, in misura anche maggiore degli sprechi-muda che così riteniamo di aver eliminato, condizione che è la più probabile che si avveri… la proverbiale pezza che è peggio del buco.

E dunque? È bene accettare che questo specifico KPI, inizialmente, non presenti un valore di riferimento (grave pecca per qualunque KPI standard)… ed è un primo rovesciamento rispetto alla “tradizione”.

Se accettiamo, e nessuno può permettersi di non farlo, se non altro per non fare la figura dell’idiota (e nessuno desidera fare la figura dell’idiota), che eliminando il NON-Valore (ben oltre lo spreco, e sempre correlato a costi, più o meno facilmente misurabili, incluso il benessere della gente che lavora, che costa quando è non-benessere) dal processo produttivo, il valore generato aumenta in termini di valore assoluto (anche chi ha competenze matematiche a livello di scuola superiore, come me, ci può arrivare, anche senza essere ingegnere) allora il fatto di non avere un valore di riferimento iniziale (infinito, per definizione, non è un valore misurabile) non è un problema, ma una condizione felice. Perché?

Perché significa che il nostro primo lavoro è proprio quello di identificare, rigorosamente, che cosa c’è, di NON-Valore per il Cliente, nel nostro processo produttivo, e di darne una misura di valore espresso in moneta sonante, ponendo subito tale valore al posto dello Zero iniziale: questo è lavoro di ricerca, di esplorazione, di scoperta, che soddisfa un bisogno primario di tutti gli umani… ah, non lo sapevi? Ciascuno di noi è, anche se non lo sa, o non gli sembra che sia così, una macchina che risolve problemi, che senza sosta punta a mettere ordine nel disordine, a collegare ciò che prima non era collegato.

La nostra osservazione di come funzioniamo è povera, di strumenti, di prospettive, di saperi, confondiamo la realtà con ciò che vediamo, raramente capiamo ciò che è oltre ciò che riteniamo di vedere… già, vedere non è mai solo registrare immagini, è molto di più, incredibilmente di più.

Ma indubitabile è il kanshin, l’interesse che si desta in tutti quelli che chiamiamo a consulto, a cui chiediamo di scoprire ciò che a tutta prima non si vede, proteggendoli dai timori di risultare inadeguati, di rischiare di far la parte degli idioti, sostenendoli nel dare valore a ciò che trovano passo passo, anche e soprattutto agli errori, condividendo l’interesse per le loro scoperte, non importa quanto “piccole”, o “grandi”, il miglioramento continuo non è quasi mai generato da stravolgimenti totali, ma da una paziente, instancabile dedizione ai micropassi, esperimenti infiniti attraverso cui eliminare NON-Valore, tramutandolo in valore di processo.

La produttività è rovesciata, questo KPI serve a monitorare e misurare il progresso, il miglioramento di produttività della nostra comunità non chiusa in se stessa, ma aperta e in costante interazione con l’ambiente, in cui il Cliente è il faro che indica il porto sicuro da raggiungere.

Produttività che ha valore “solo” come indice di probabilità di sopravvivenza, di successo, di poter sostenere la vita ed il benessere della comunità e di ogni soggetto singolarmente preso.

Il confronto con i concorrenti non fa male, ma non basta, neanche lontanamente: nulla sta fermo, possiamo contare solo sulla efficacia, sulla bontà della nostra via, del nostro modo di riuscire a soddisfare l’incontentabile Cliente. Questo ci tiene in vita, in lizza, nella condizione di poter competere e sopravvivere.

È un KPI diabolico, e solo ad una mente bizzarra e diabolica come quella di Stefano poteva succedere di formularlo: al valore del KPI ci arriviamo alla fine, non è l’inizio. Bizzarro, diabolico, e incontentabile, peggio del Cliente là fuori: e quando ci saremo arrivati? Azzeriamo tutto, e ricominciamo…

Per forza: una volta individuato, misurato il NON-Valore, e posto al denominatore del KPI, il KPI mostrerà n valore, immaginiamo 10, il valore generato è dieci volte più grande del NON-Valore, voilà, finalmente… e poi che cosa facciamo? Eliminiamo il NON-Valore, aggiorniamo il denominatore del KPI, e torniamo ad avere il valore INFINITO… inaccettabile. Diabolico.

Insopportabile? No, per esperienza… Stefano è anche quello che vi dice, sai, io non credo, neanche per un  momento, che Toyoda (sì, il fondatore di TOYOTA, proprio quella TOYOTA), quando stava davanti ai telai, di fianco all’operaio che doveva controllare che il telaio non funzionasse a vuoto (si tessono fili, i fili si possono rompere, a quel tempo, intorno al 1930, succedeva spesso… anche oggi), cercando MUDA e miglioramenti, che avesse in mente il Cliente… era lì, di fianco ad una persona, che doveva passare le sue ore di lavoro (per essere pagato, che altro?) a guardare che il telaio producesse tessuti, e non girasse a vuoto, a fermare la macchina quando succedeva, veloce, poi a sistemare il problema del filo spezzato o interrotto, e far ripartire la macchina… otto ore, dieci ore, dodici ore…

Una persona come lui, non un ingegnere, è vero, ma una persona come lui… tutta quella attenzione focalizzata sul dannato filo, bastava una frazione di secondo per sbagliare… io credo, dice Stefano, che quello che ha spinto Toyoda a inventarsi un galoppino collegato ad un interruttore che fermava il telaio, accendendo simultaneamente una luce di allarme sia l’aver trovato inaccettabile che un povero cristo, per sopravvivere, dovesse fare quel lavoro in quel modo.

La vita per l’operaio è migliorata, dopo il galoppino? Un pochino sì, non doveva più cavarsi gli occhi per tenere d’occhio il filo per otto, dieci, dodici ore, la macchina lo “chiamava” quando c’era bisogno…. Ah no, certo, non che avesse tempo di dormire, invece di un telaio solo poi ne ha dovuti tenere sotto controllo dieci… ma il lavoro, la qualità del suo lavoro era un pochino migliorata rispetto a prima… e certo, il Cliente aveva avuto la sua parte di Valore, e anche Toyoda si è messo in tasca qualche soldo.

Per niente non canta il cieco, la diceva la mi’ mamma.

Stefano annuisce, e conclude: per me, la sorgente, prima e ultima, la fonte di ispirazione vera  del miglioramento continuo, non è il Cliente, che è invece un affidabile riscontro, doveroso ed efficace, il Cliente non è la sorgente… per me, dopo tanti anni, e averne viste di tutti i colori, la sorgente è la gente con cui lavori.