Kaizen del Kaizen

Ciascuno ha la sua storia, c’è chi non ha mai incontrato il kaizen, il nome kaizen a loro non dice nulla, credo di averlo sentito per la prima volta una trentina di anni fa, mentre seguivo la pista dei sistemi qualità… parecchio tempo dopo, una quindicina di anni fa, ho incontrato l’ing. Stefano Calcaterra, un geniaccio dalla mente vivida, acuto, sagace, spietato, splendido conversatore, cinefilo, musicofilo, di mestiere Maestro Kaizen, o almeno io lo identificai così.

Le mie cognizioni circa il kaizen, a quel tempo, erano ben poche, avevo da tempo abbandonato la pista dei sistemi qualità, e stavo chiudendo un altro capitolo (a quel tempo non lo sapevo ancora) della mia storia professionale e “umana”, dieci anni dedicati alla ricerca e diffusione di metodi e tecniche di sviluppo delle abilità emotive, paradigma Mayer-Salovey… Stefano era crucciato dal fatto che i suoi allievi raramente imparassero in modo soddisfacente, uno su dieci sembrava farcela, gli altri no.

L’impegno ed il lavoro dedicato al miglioramento continuo dava risultati fino a quando lui era sul gemba con gli allievi, lasciati da soli ripetevano quel che avevano già fatto, e, a parte quel 1 su 10, non andavano avanti… anzi, tornavano indietro.

Stesso riscontro lo avevo io dai miei gruppi, dalle mie aule, dal lavoro che facevo in università e nelle aziende: 1 su 10, dannazione, non c’era verso di cambiare quel rapporto, il riscontro di numerosi altri colleghi era lo stesso.

Perché?

Non necessariamente conoscere la risposta permette di individuare la soluzione desiderata, a volte possiamo trasformare la risposta in un problema, siamo fortunati, per definizione qualunque problema ha una soluzione, a volte no… questo succede quando la risposta che troviamo rivela un vincolo non modificabile (almeno non qui e ora), il che vuol dire che ci resta la sola possibilità, qui e ora, di pensare e agire nei limiti imposti dal vincolo cui siamo soggetti.

Non che non avessi cercato la risposta, l’avevo cercata eccome, nei diversi campi della “agogìa”, in quelli della “logìa”, niente di significativo e utilizzabile… fino a costruirmi una sorta di ipotesi provvisoria, rispettosa dei riscontri di campo, che dava senso a quello che continuava a presentarsi come vincolo, 1 su 10: è una costante geneticamente determinata che sostiene la sopravvivenza dei gruppi (e delle comunità), limitando, sostanzialmente, il grado e la velocità di “innovazione” del funzionamento dei gruppi (e delle comunità).

Non potevo essere di aiuto a Stefano, nemmeno a me stesso, o ai miei colleghi, per cambiare le cose, potevo solamente porgere le mie stesse conclusioni: non è un problema, è un vincolo, hic sunt leones.

Mi ci volle ancora qualche anno per completare una virata e prendere, consapevolmente, intenzionalmente, una direzione diversa, esplorando un territorio che avevo sì fugacemente scorto parecchi anni addietro, ma che non sembrava promettente, da lì non era uscito nulla di “funzionante”, grandi paroloni, costrutti teoretici aerei e astratti, nulla che potessi trasformare in operazioni… neanche era una -logìa o una -agogìa, era un pezzetto, buttato là, teoria dei sistemi, Palo Alto, pragmatica della comunicazione umana, ecologia della mente, l’albero della conoscenza… chiacchiere, buone chiacchiere, piacevoli, argute, suonavano anche intelligenti… ma ancora chiacchiere inutilizzabili in pratica.

Mi ci volle qualche anno per delimitare un primo “territorio” teoretico e poi dare forma e struttura ad una tekné, ad una tecnica riconoscibile, e completare i primi esperimenti… e così, quando lo scorso anno incontrai di nuovo Stefano, beh, non avevo più i dati per confermare che il rapporto 1:10 è il limite invalicabile: nel nuovo territorio, quello della Sistemica del Comportamento Umano, non aveva senso quel tipo di conclusione.

Potevamo, se voleva, utilizzando altre risposte al “Perché 1 su 10?”, esplorare altre possibilità, fare altri esperimenti, e mettere le mani meglio, in modo più scientifico (Ipotesi-test-verifica-correzione ipotesi/conferma, il buon vecchio PDCA, insomma) proprio sul kaizen, sul metodo (certo che è un metodo) di insegnamento impiegato nel processo di apprendimento del kaizen.

Il mondo kaizen è ancora diviso in due, a quel che se ne sa: da una parte Toyota, Komatsu, Honda che incarnano il successo del kaizen, dall’altra parte tutti gli altri, dove, sostanzialmente, il kaizen non va o non va altrettanto bene.

Senza alcun bisogno di andarlo a verificare, i tre campioni del kaizen hanno a che fare con la stessa distribuzione 1:10, eppure loro riescono, gli occidentali no: la solita, consueta, banale e superficiale “spiegazione” che verte sul “differenziale culturale”, per la sistemica è destituita di fondamento, è una puttanata.

Inoppugnabile che siano riscontrabili vistose differenze di milieu, tuttavia il riscontro osservazionale non costituisce una risposta al perché loro riescano e gli altri no: e questo lo sappiamo da tempo immemore, nessun riscontro osservazionale può mai costituirsi come risposta, ma sempre e solo come dato che conferma (o non conferma) una ipotesi.

E anche questa nostra “curiosa” confusione su ciò che appartiene al territorio delle ipotesi e ciò che appartiene al territorio del test, due territori che la buona scienza tiene rigorosamente separati, è immediatamente una domanda che chiede risposta: non qui, non ora.

Occorreva e occorre migliorare metodo di insegnamento e processo di apprendimento relativi al kaizen, questo abbiamo fatto, attenendoci scrupolosamente al metodo scientifico, esplicitando le ipotesi costruite utilizzando il costrutto teoretico distintivo della Sistemica del Comportamento (e dell’Apprendimento, variante specifica del Comportamento) Umano.

Sono importanti i riscontri osservazionali, ma solo nella misura in cui rispondono ad una precisa comprensione del senso che hanno, senso che dipende dal quadro delle ipotesi (teorie) in cui vengono collocati: il primo e più vistoso è costituito dalla eliminazione del gruppo, il maestro Kaizen ha esclusivamente a che fare con singoli allievi.

Ce ne sono altri: ad esempio il riscontro costituito dalla interazione da remoto, il maestro Kaizen non è fisicamente presente nello stesso spazio dell’allievo, cosa oggi facilmente realizzabile.

Ancora, le lezioni, le sessioni di lavoro sono chiamate non a caso micro-cicli, da 15 a 30 minuti.

Ancora, le sessioni sono ad alta frequenza, all’inizio in media da 3 a 5 la settimana, ma possono diventare di più, si può rendere opportuno che si attivino due microcicli nello stesso giorno.

E non abbiamo detto niente, non ancora, dei contenuti di ciascun micro-ciclo, e, soprattutto, di come viene trattato ciascun contenuto (e ciascun allievo) da parte del maestro Kaizen

Nemmeno di come, praticamente, deve necessariamente essere “curato” il kanshin, l’interesse.

Per avere un’idea di che cosa possa voler dire, dài un’occhiata a questi “11 comandamenti”: ciascuno di essi ha una sua rigorosa spiegazione sistemica, posso dirti senza troppi timori spiegazione scientifica.

Queste “istruzioni operative” riguardano una delle figure organizzative che devono necessariamente essere quotidianamente in gioco, l’abbiamo chiamato k-stabilizer, lo stabilizzatore del kaizen.

Perché sia necessario il k-stabilizer ha le sue risposte, scientifiche: per il momento deve bastare accettare e riconoscere quel che già sappiamo, e cioè che il kaizen è un modo di funzionamento delle persone, e che otteniamo il miglioramento continuo solo con e attraverso le persone.

Il K-STABILIZER, lo stabilizzatore kaizen è quel soggetto (singolo, diadico, gruppo) che, nel sistema cliente,

  1. è membro del top-management, del corpo dirigente, magari fondatore dell’impresa, funzionario di rango elevato, in ogni caso e comunque chiamato è un soggetto dotato del know-how e dei poteri necessari e sufficienti a
    • sviluppare e seguire diligentemente, nella propria area di diretta influenza operativa, per ciascun processo organizzativo identificabile, precisi programmi di miglioramento continuo (programmi kaizen), articolati in specifiche azioni di miglioramento continuo
    • destinare risorse a supporto dei programmi kaizen attivati nella propria area di diretta influenza operativa
    • richiedere, esigere ed ottenere il costante aggiornamento, quotidiano, di tutti i programmi kaizen e delle azioni di miglioramento in corso nella propria area di diretta influenza operativa
    • valutare i risultati ottenuti, le fasi e gli step successivi di sviluppo dei programmi kaizen attivati nella propria area di diretta influenza operativa
    • richiedere, esigere e ottenere che per ciascun processo organizzativo identificabile in qualunque area e funzione organizzativa, vengano sviluppati e seguiti diligentemente precisi programmi kaizen, articolati in specifiche azioni di miglioramento continuo
    • destinare risorse a supporto dei programmi kaizen attivati in qualunque area e funzione organizzativa
    • richiedere, esigere ed ottenere il costante aggiornamento, quotidiano, di tutti i programmi kaizen e delle azioni di miglioramento in corso in qualunque area e funzione organizzativa
    • valutare i risultati ottenuti, le fasi e gli step successivi di sviluppo dei programmi kaizen attivati in qualunque area e funzione organizzativa
  2. Ogni giorno, inflessibilmente, dotandosi della necessaria strumentazione e della più adeguata configurazione organizzativa, presidia gli 8 ambiti di azione indicati al punto I.
  • Mantiene costantemente, inflessibilmente e con modalità appropriate, la pressione sociale su tutti i soggetti organizzativi con cui interagisce, verso il miglioramento continuo

Sappiamo perfettamente che gli 11 comandamenti si presentano, d’acchito, come insoddisfacibili: con tutto quello che c’è da fare per restare a galla, per assolvere almeno una parte degli issue in agenda ogni giorno, e chi ce l’ha il tempo e l’energia per fare ed essere ANCHE questo?

Se non sei già esperto di kaizen, quella è la reazione più probabile che dovresti aver avuto, e anche se lo sei, beh, non è probabile che tu abbia mandato giù gli undici comandamenti poi tanto facilmente.

È anche per questo motivo che, per molti molti anni anche noi, in trattativa con i clienti, abbiamo cercato di smorzare, attutire, far passare come facile e veloce, rapido, indolore, l’impegno, il commitment, magari anche assicurando che, ma certo, con questo programma kaizen la tua gente diventerà autonoma e indipendente, capace di prendere buone decisioni per migliorare ogni giorno… no, non sono bugie, certo che possono diventare capaci, che possono farlo: che poi lo facciano o no, non dipende da noi.

Del resto come hanno fatto tutti (e continuano a fare, a quel che ne sappiamo noi siamo ad oggi l’unica eccezione), esperti veri e finti del kaizen… noi ci abbiamo messo un bel po’ a capire sia il peso ed il ruolo di questa variabile, sia a tradurre gli 11 comandamenti in qualcosa di realisticamente fattibile, sia ad ottenere che l’intasamento quotidiano delle agende dei capi, dei dirigenti, dei “leader”, diminuisse proprio adottando gli undici comandamenti.

Se sei membro del top-management, del corpo dirigente, magari fondatore dell’impresa, funzionario di rango elevato, in ogni caso e comunque chiamato sei un soggetto dotato del know-how e dei poteri necessari e sufficienti ad essere K-Stabilizer, e sei arrivato a leggere fin qui, bene, ora possiamo dirti: NON si tratta di AGGIUNGERE alle “normali” attività” anche quelle indicate dagli undici comandamenti.

Si tratta di TOGLIERE MUDA dalla attività quotidiana, magari anche liberando un po’ più di tempo per te, e sostituire ai muda individuati ciò che serve per gestire gli elementi che costituiscono la variabile K-STABILIZER.

Se non lo sei, beh, allora vai da un membro del top-management, del corpo dirigente, magari fondatore dell’impresa, funzionario di rango elevato, in ogni caso e comunque chiamato un soggetto dotato del know-how e dei poteri necessari e sufficienti ad essere K-Stabilizer, e fagli leggere questo articolo… poi vedi come si mette la faccenda.

Forse può aiutare concepire il K-STABILIZER come condizione target (stiamo scherzando, certo che aiuta), spararlo sul solito buon vecchio A3 (sì, sempre quello), e pezzo per pezzo, con sagacia, acume, creatività, umorismo, libertà, divertimento, individuare che cosa ti impedisce di passare dal as is, dalla attuale condizione, alla condizione target, in cui hai il tempo, le energie, gli strumenti, il know-how necessari e sufficienti ad essere e fare ciò che è indispensabile al successo del programma, e cioè a raggiungere la meta-condizione target (rispetto alla condizione target di questo momento, essere K-STABILIZER e fare ciò che il K-STABILIZER deve fare)

ottenere una configurazione dinamica del sistema organizzativo in grado di generare stabilmente miglioramento continuo, in modo originale e non copiabile